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In ricordo di Chicco Tettamanti 2/1/2016

Quel martedì primo dicembre del 2015, sul sagrato della Parrocchiale di Albate, assieme ad una folla di amici si è ritrovato il mondo del vecchio alpinismo comasco.
Tutti uniti in un unico abbraccio attorno alla bara, portata a spalla dagli alpini del Gruppo di Albate, che conteneva il corpo di Chicco Tettamanti. Sì, il corpo perché il suo spirito era lì tra la folla, in mezzo agli amici, agli alpini, ai suoi compagni di alpinismo, a chi con lui aveva affrontato le dure ma esaltanti fatiche che la montagna richiede per salire sempre più in alto.
Lui era lì e lo si avvertiva perché la sua presenza non può dissolversi con la tumulazione di una salma. Il suo Essere è destinato a rimanere dentro di noi, sulle montagne e sulle piste innevate dove veloce scivolava con gli sci stretti da Nikolajewka ai tracciati di Campra dove insegnava ai ragazzini le tecniche, ma soprattutto la passione per lo sci da fondo.  

Le sue imprese alpinistiche, la sua empatia, la capacità di trasmettere ai giovani, più con l’esempio che con le parole, l’entusiasmo per la vita, l’amore, che vuole dire anche rispetto, per la montagna e per la natura. Il suo particolare attaccamento al Cappello alpino che non dimenticava mai di togliere dalla zaino ogni volta che raggiungeva una meta.  
Quel pomeriggio di sole, nella Parrocchiale di Albate stracolma di una folla eterogenea, è stato rivolto l’ultimo saluto ad un uomo che ha saputo vivere fino in fondo la sua vita e lo ha fatto con grande dignità, sostenuto dalla moglie che gli è stata fedele compagna di cordata fino all’ultimo difficile passaggio, quello oltre il quale si procede da soli fino alla sommità più alta e dalla quale non c’è ritorno.
L’ultimo saluto Chicco lo ha ricevuto nella sua Parrocchiale attraverso l’affetto di chi ha voluto essere presente alle cerimonia funebre accompagnata dalle parole della “Preghiera dell’Alpino” e dalle solenni note dell’organo che hanno reso ancor più struggente il “Signore delle cime”. Tutto questo in un silenzio irreale.
E mentre tutto ciò accadeva, mi tornava alla mente le serata in cui gli alpini di Albate hanno presentato il libro che raccoglie la storia del Gruppo locale. Pagine di storia e di uomini all’interno delle quali non poteva mancare uno spazio riservato proprio al Chicco. Poche pagine che hanno ripercorso le tappe più significative della sua vita alpina e quelle di alpinista. Dalla drammatica avventura vissuta nel 1981 sul canalone Coolidge lungo la parete Nord del Monviso, alla salita dell’Illimani, una montagna di 6640 metri nella Bolivia nord occidentale dove, raggiunta la vetta, Chicco si è messo in testa l’inseparabile cappello alpino e ha sventolato con orgoglio, il gagliardetto del Gruppo ANA di Albate.
Un modo di festeggiare l’arrivo su una vetta che gli era consueto in ogni sua salita infatti, nel suo zaino, assieme all’attrezzatura tecnica e ai viveri, il Cappello alpino non mancava mai. Lo ha messo in testa non appena raggiunta la vetta all’Aconcagua nelle Ande argentine, un gesto che ha ripetuto sul Kilimangjaro e sul Ruwenzori per non dimenticare poi quella spedizione che lui ha sempre considerato la più importante e significativa: una lunga cavalcata attraverso la steppa russa compiuta con gli sci stretti ai piedi, per raggiungere quello storico sottopasso ferroviario di Nikolajewka attraverso il quale gli alpini hanno potuto rompere l’accerchiamento e fare ritorno in Italia.
Li in quella fredda e desolata pianura Chicco, assieme ai suoi compagni d’avventura, ha reso omaggio alle decine di migliaia di alpini morti durante quella terribile ritirata di Russa.
A sottolineare il particolare significato di queste avventure vi è poi la determinazione e l’impegno che Chicco ha sempre mostrato nel rendere participi di queste sue emozioni anche gli altri, soprattutto i giovani, e lo ha fatto con insistenza entrando nelle scuole, nelle associazioni e nei club dove, a supporto dei suoi racconti proiettava le sue diapositive. Questi incontri lui li organizzava convinto che fossero utili, e infatti lo sono stati, a trasmettere quei valori che per lui hanno sempre rappresentato i fondamentali non solo dell’alpinismo e della vita alpina, ma del modo di vivere la nostra quotidianità.
Chicco se ne è andato “per le sue montagne”, ma il suo insegnamento e le sue imprese continueranno ad accompagnarci ogni qual volta noi affronteremo una salita e indosseremo il Cappello alpino, quel Cappello che Chicco non ha mai considerato un semplice copricapo che gli potesse ricordare gli anni della vita militare, ma un importante simbolo da rispettare e da onorare con l’impegno che deve essere profuso giorno per giorno.

(Sergio Masciadri)

Leggi il capitolo 17 del libro "Alpini_ad_Albate_85_anni_di_Storia_40_anni_di_presenza"